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1. PREMESSA.

L’amministratore di condominio è l’organo esecutivo del condominio, ed il rapporto giuridico che si instaura tra condominio e amministratore, è riconducibile secondo il diritto italiano, al mandato con rappresentanza regolato dal codice civile agli articoli 1387 e ss e 1703 e ss.

La figura dell’amministratore ha cominciato ad affermarsi nel nostro paese a partire dagli anni ’60, a seguito della grande spinta economica dovuta alla massiccia opera di ricostruzione a seguito dell’ultimo conflitto mondiale. Inizialmente per svolgere questa attività non veniva richiesta nessuna abilità particolare, soventemente veniva gestita come occupazione di ripiego e/o seconda occupazione da esercitare nel “tempo libero”.

Con l’avanzare del tempo, la figura dell’amministratore di condominio, ha, necessariamente, dovuto adeguarsi allo sviluppo sempre più articolato e complesso della realtà condominiale, non essendo più sufficiente solo la csd “buona volontà” di una persona qualunque.A tal proposito è intervenuta la legge n. 220/2012 “Disciplina del condominio negli edifici”, in vigore dal 18 giugno 2013, che ha profondamente innovato e “ristrutturato” la disciplina in materia di condominio e soprattutto le disposizioni che interessano l’amministratore di condominio, oggi finalmente considerato necessariamente come un vero e proprio professionista, che deve essere in grado si saper gestire la cosa comune nell’interesse esclusivo dei partecipanti la comunione, deve trasmettere sicurezza, affidabilità, deve possedere delle ottime doti di “problem solving”, deve essere una persona disponibile e puntuale nei suoi adempimenti, deve saper scegliere ditte fornitrici di servizi per il condominio sempre avendo cura del rapporto qualità/prezzo… dovrà quindi essere un professionista preparato e capace. Alla luce di quanto fin’ora scritto in questa mia premessa, prima di esaminare l’istituto della  “prorogatio imperii”, ritengo doveroso un piccolo excursus sui requisiti che oggi la nuova normativa richiede all’Amministratore immobiliare.

2. REQUISITI DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO.

Il professionista, così come diventato nel nuovo rapporto di mandato che lo lega ai condòmini ed al condominio, oltre agli obblighi previsti dall’art. 1129 del c.c. –Nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore-, e dall’art. 1130 del c.c. –Attribuzioni dell’amministratore-, dovrà rispondere anche a quanto richiesto dal novello art. 71-bis delle disposizioni attuative del codice civile circa i requisiti che deve possedere l’amministratore per essere nominato, cinque di carattere morale e due di carattere professionale:

a) godere dei diritti civili;

b) non  essere  stato  condannato  per delitti contro la pubblica amministrazione, l’ammistrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio; delitti non colposi per il quale sia prevista la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, ai due anni e, nel massimo, a cinque anni;

c) non  essere  stato sottoposto a misure di prevenzione divenute definitive, salvo riabilitazione;

d) non essere interdetto o inabilitato;

e) non essere annotato nell’elenco dei protesti cambiari;

f) aver  conseguito  il  diploma  di  scuola  secondaria di secondo grado;

g) aver frequentato corsi di formazione, iniziale e periodica.

Occorre precisare che qualora l’amministratore sia nominato tra i condomini, non sono richiesti i requisiti di cui ai punti f) e g), ovvero se l’amministratore ha già svolto tale attività per almeno un anno nell’arco dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della legge (18 giugno 2013), ma deve invece provvedere a frequentare corsi di aggiornamento periodici.

3. PERDITA DEI REQUISITI.

Leggendo sempre l’art. 71-bis comma 1 delle disposizioni di attuazione del codice civile, il legislatore ha stabilito che, in ogni caso, la  perdita di uno solo dei requisiti  di cui ai punti a), b), c), d) ed e) già esaminati nel precedente paragrafo, implica la cessazione dall’incarico. In tal caso l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore può essere convocata da ciascun condòmino senza formalità.

4. LA “PROROGATIO” DEI POTERI DELL’AMMINISTRATORE DOPO LA SCADENZA  DEL MANDATO.

La  “prorogatio” è un istituto che deriva dal diritto romano e che considera lecita e quindi produttiva di effetti giuridici la prosecuzione di un incarico scaduto della persona che fino ad allora era titolare della carica e fintanto che quella carica non sia assegnata ad una nuova persona.

In buona sostanza l’ordinamento giuridico considera come conforme alla volontà del rappresentato e necessario al fine di garantire la continuità amministrativa dell’ente di riferimento, l’esercizio in prorogratio dei poteri da parte dell’ultimo titolare.

Una situazione del genere appare sovente in ambito condominiale.   Come noto, l’amministratore rappresenta, assieme all’assemblea, l’organo (esecutivo e di rappresentanza) più importante della gestione del condominio.

La legge dispone che la nomina di un amministratore si rende necessaria quando i partecipanti al condominio sono più di otto, sia per una miglior gestione dei rapporti tra gli stessi condòmini, che tra il condominio ed i terzi.

Secondo l’art. 1129 del c.c. comma I: “se l’assemblea non vi provvede, la nomina di un amministratore è fatta dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini o dell’amministratore dimissionario”  . La natura e gli effetti giuridici delle due modalità, tuttavia, sono diversi.

Quello che lega il condominio all’amministratore, e viceversa, è un vero e proprio  contratto di mandato,  cioè quell’accordo mediante il quale una parte (il mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto di un’altra parte (il mandante). Il contratto di mandato si presuppone a titolo oneroso.

Ovviamente sono presenti degli obblighi in capo sia al mandatario che al mandante. Per quanto attiene gli obblighi in capo al mandatario (cioè l’Amministratore), ricordiamo:

1. il   mandatario   è   tenuto   ad   eseguire  il contratto  con la  diligenza del buon padre di famiglia, e se il mandato viene svolto a titolo gratuito, l’eventuale responsabilità per colpa viene valutata con minor rigore;

2. il mandatario non può eccedere i limiti del mandato … ;

3. il mandatario deve rendere conto della sua attività al mandante … .

Per quelli che attengono la sfera del mandante (il Condominio):

a) fornire il mandatario dei mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni contratte …;

b) rimborsare al mandatario le eventuali anticipazioni fatte;

c) pagare il compenso pattuito ed eventualmente risarcire i danni che il mandatario può aver subito nello svolgimento del suo incarico.

Secondo l’art. 1722 c.c. il mandato si estingue  qualora si verificano le seguenti condizioni:

– scadenza del termine;

– morte, interdizione o inabilitazione del mandante o del mandatario;

– revoca del mandato. Se nel contratto è previsto un patto di irrevocabilità, se il mandante procede alla revoca senza una giusta causa risponderà degli eventuali danni causati al mandatario. Se la revoca interviene prima del termine e non è supportata da una giusta causa, il mandatario avrà diritto ad un indennizzo per il mancato guadagno, oltre al rimborso per le spese eventualmente già sostenute;

– se il mandatario rinuncia all’incarico in difetto di giusta causa, egli sarà tenuto ad analogo risarcimento nei confronti del mandante”.

Alla fine quindi del mandato di gestione, ovvero in caso di revoca e/o di dimissioni, l’assemblea dei condomini dovrà deliberare sulla nomina del nuovo amministratore oppure sulla conferma del precedente, ed il quorum richiesto dal legislatore è quello della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio (art. 1136 c.c. comma II).

Può accadere che, per mancanza del raggiungimento del numero legale, l’assemblea non riesca a nominare, confermare e/o revocare l’amministratore. Nell’eventualità in cui l’assemblea non vi provveda, per uscire da questa fase di “stagnazione”, le opzioni sono due:

A. “Quando i condòmini sono più di otto, se l’assemblea non vi provvede, la nomina di un amministratore è fatta dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condòmini o dell’amministratore dimissionario”(art. 1129 comma I), cosicché venga nominato con decreto un amministratore “giudiziale”;

B. “L’amministratore uscente prosegue nell’esecuzione delle attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi” (art. 1129 c.c. comma VIII).

  In questa ultima ipotesi, proprio per garantire la prosecuzione dell’incarico dell’amministratore, e per non creare nessun tipo di pregiudizio al condominio, si parla di“prorogatio imperii”.  In sostanza si tratta di proseguire in via provvisoria la carica di amministratore, ed ovviamente questa provvisorietà andrà a risolversi nel futuro. Il codice civile all’art. 1129, appunto dispone che al momento della cessazione della carica per qualsiasi ragione (dimissioni, rinuncia, revoca…), l’amministratore ha l’obbligo di eseguire le attività urgenti ed il disbrigo di quelle attività ordinarie non procrastinabili, per non creare pregiudizi, senza diritto ad ulteriori compensi, in attesa del passaggio di consegne al suo successore.Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ritiene, che:

1.     “L’amministratore di condominio, anche dopo la cessazione della carica per scadenza del termine o per dimissioni, conserva ad interim i suoi poteri e può continuare ad esercitare finché non venga sostituito da altro amministratore. Ma tale principio (in difetto di esplicita enunciazione normativa) si giustifica in ragione di una presunzione di conformità all’interesse ed alla volontà dei condomini” (così Cass. n. 1445/1993);

2. “In tema di condominio di edifici, l’istituto della “prorogatio imperii” – che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condòmini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore – è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore,e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’art. 1129 c.c. comma II, o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina. Ne consegue che, l’assemblea può validamente essere convocata dall’amministratore, la cui nomina sia stata dichiarata illegittima, non ostando al riguardo il dettato di cui all’art. 66 att. c.c. comma II, in quanto il potere di convocare l’assemblea, da tale norma attribuito a ciascun condomino, presuppone la mancanza dell’amministratore che è ipotesi diversa da quella che si verifica nei casi di cessazione per qualsivoglia causa del mandato dell’amministratore o di illegittimità della sua nomina”(così Cass., Sez. Il, n. 1405 del 2007; conformemente cfr. Cass., Sez. il, n. 3139 del 1973; Cass., Sez. II, n. 3588 deI 1993; Cass., Sez. II, n. 5083 del 1994; Cass., Sez. Il, 27.03.03 n. 4531 e, più recentemente, Cass., Sez. II, 30.10.12 n. 18660), (Cass. 13 giugno 2013, n. 14930).

In altre parole…  nell’interesse del condominio, anche chi è stato revocato deve continuare a garantire il “disbrigo degli affari correnti”, e quindi è in “prorogatio imperii”.